Gruppo di ricerca: Dario Pucci, Giampaolo Nuvolati, Michele Pellizzari, Stefano Laffi, David Benassi
Dati di pubblicazione: Milano, IReR, 1998 (Collana sintesi, 12)
Si tratta del primo seminario svolto all'interno del programma di attività avviato dall'IReR allo scopo di presentare i lavori condotti da giovani ricercatori su determinate problematiche relative all'area sociale ed economica.
L’approfondimento sul tema della povertà è andato concentrandosi su due temi tra loro complementari. Da un lato, la ricostruzione dei percorsi di impoverimento in relazione alle dinamiche lavorative, economiche, sociali e relazionali, dall’altro la corrispondenza tra nuove forme di povertà e modalità organizzative di sistemi di welfare.
L’incontro seminariale organizzato dall’IReR prende in esame il rapporto tra sussidi minimi e disincentivi al lavoro considerando sia il caso italiano che più generale quello europeo, i percorsi di impoverimento in un area ricca del nostro paese e il carattere specifico che le azioni di welfare assumono in contesti locali differenziati.
La prima relazione di Pellizzari fa il punto su quella particolare misura di assistenza pubblica di ultima necessità indirizzata a coloro che, pur non rientrando in alcuna delle categorie per le quali è previsto un sussidio ad hoc, si trovano in condizioni di difficoltà economica, cioè sull’istituto ‘universale e residuale’, il ‘minimo vitale’. Pochissimi paesi europei sono ancora privi di un minimo vitale e l’Italia rientra tra questi. A questa lacuna dovrebbe provvedere la riforma apportata dalla legge Finanziaria per il 1998, preceduta dalla relazione della Commissione Onofri e dal Documento di programmazione Economico-Finanziaria 1998-2000 che prevede l’introduzione di un reddito minimo d’inserimento in via sperimentale. Quest’ultimo dovrebbe assolvere le funzioni di un minimo vitale che garantisca una copertura assistenziale universale per prevenire il rischio di povertà in cui incorrono le categorie meno protette nei confronti delle trasformazioni che stanno investendo il mercato del lavoro e la società. Il problema consiste nel disegnare un sistema di protezione sociale come questo che pur offrendo un adeguata protezione dalla povertà riesca a condurre i benificiari all’autosufficienza economica.
La seconda relazione di Laffi costituisce l’esito di una riflessione svolta sui risultati di una ricerca delle forme di povertà in Alto Adige. Si ipotizza che la povertà sia un fenomeno multidimensionale e processuale, localizzabile nei suoi meccanismi generativi e nelle sue specificità locali lungo un continuum teso tra due elementi uno di contesto l’altro di carriera di vita.
In entrambe le relazionali la povertà è analizzata rispetto ad un mancato o difficile incontro tra:
L’ultima relazione di Benassi rileva che la costruzione del welfare non si esaurisce in una raccolta più o meno ampia di provvedimenti legislativi, ma bisogna recuperare le modalità di implementazione delle politiche di welfare a livello locale. Infatti le politiche e le pratiche di intervento intervengono su modelli di organizzazione sociale nei quali vigono soluzioni specifiche per quanto riguarda l’equilibrio tra istanze riproduttive diverse. Questo vale soprattutto nel caso di politiche elaborate a livello locale. In questo quadro viene riportata l’esperienza di ricerca realizzata a Milano e Napoli. L’autore trae due conseguenze di carattere metodologico. Una concerne la necessità di focalizzare l’analisi verso fattori locali di produzione delle condizioni di precarietà socio-economica e di strutturazione dei sistemi di welfare; l’altra spinge ad utilizzare come metodi di indagine tecniche più sensibili alle dimensioni soggettive e processuali del fenomeno a scapito di metodi orientati alla mera quantificazione della povertà. (X,SOC/5/15)