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[1983] L'offerta di lavoro delle donne sposate

Gruppo di ricerca: Giuseppe Barile

Dati di pubblicazione : Milano, IReR, 1983

La ricerca vuol verificare l'impatto di diversi fattori socio-demografici e di status sulle probabilità di partecipazione al lavoro delle donne sposate in Lombardia. Le elaborazioni effettuate hanno consentito di puntualizzare il ruolo preminente della condizione familiare come principale deterrente rispetto alle possibilità di svolgere un'attività lavorativa extradomestica. Riguardo alla importanza del carico familiare rappresentato dal numero di figli cui la donna deve accudire, la ricerca rileva che, contrariamente alle attese, la presenza di un figlio in età prescolare non costituisce un fattore rilevante nel senso indicato; solo quando il carico familiare si aggrava col secondo o terzo figlio diventa impossibile conciliare lavoro familiare e attività per il mercato. Tra le variabili considerate, l'età ed il reddito familiare hanno l'effetto previsto. Al crescere dell'età e del reddito vi è una diminuzione della partecipazione al lavoro. Quasi nulla appare viceversa l'influenza dell'istruzione, se non per le donne laureate tra le quali cresce fortemente l'offerta di lavoro e l'occupazione. Scarso rilievo sembrano avere anche gli elementi integrativi del reddito familiare, oltre al contributo fondamentale del capofamiglia. Il possesso della casa in proprietà, la presenza di forme di autoconsumo, l'esistenza di altri redditi inclusi i redditi da lavoro, non spostano le probabilità di partecipazione. Ciò appare in contraddizione con quanto spesso si sostiene circa il peso rilevante di diverse fonti di entrate, ed in particolare di diversi redditi da lavoro come fattore di disuguaglianza dei bilanci familiari. Se effettivamente le famiglie con 2 o più occupati, esclusa la moglie, fossero molto avvantaggiate in termini di reddito rispetto a quelle con un solo componente occupato, ben più consistente e significativo di quello riscontrato sarebbe l'effetto di riduzione sul tasso di attività femminile. Un rilievo maggiore sembrano avere la cultura di provenienza, l'anzianità di immigrazione e l'origine urbana o rurale. Minor importanza ha invece l'origine sociale; i tassi di attività non variano significativamente al variare della professione del padre; più che la classe d'origine è la classe di arrivo che ha rilievo. In base ai risultati dell'indagine, quanto più elevato è lo status sociale del marito, tanto minore è la presenza nel mercato del lavoro delle donne. Fanno eccezione le mogli di artigiani, commercianti e semi-professionisti, il cui tasso di attività non differisce significativamente da quello delle mogli di operai. Riguardo all'orario di lavoro, il 16,5% effettua non più di 20 ore settimanali ed un ulteriore 18.2% tra 21 e 36 ore settimanali. L'orario di lavoro settimanale, mentre non varia col variare dell'età della donna e del reddito familiare, varia nettamente col variare del numero di figli. Non è quindi lo status socioeconomico ad avere rilievo ma piuttosto ancora una volta la condizione familiare ed in particolare il carico di lavoro all'interno della famiglia. La disaggregazione territoriale fornisce ulteriori elementi di valutazione: tra Milano e l'hinterland vi sono 6 punti di differenza e tra Milano e gli altri comuni della Lombardia ben 12-13 punti; l'andamento decrescente del tasso al crescere dell'età è più evidentemente riscontrabile nell'hinterland milanese e negli altri comuni della Lombardia; a Milano, viceversa, si presenta la curva a dorso di cammello, caratteristica dei maggiori paesi industriali. (X,SOC/3/8)

Ultimo aggiornamento: 20 settembre 2001
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