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[1984] Economia e politica della cooperazione di consumo

Gruppo di ricerca: Paolo Dall'Osto, Giampiero Lugli, Franco Rivolta

Dati di pubblicazione : Milano, Angeli, 1984

Nella realtà della cooperazione al consumo convivono figure aziendali e ruoli economici molto differenti: mentre le cooperative chiuse mantengono il vincolo della qualità di socio per usufruire degli acquisti in comune ma il volume di vendita è ridotto e il binomio merce-servizio è relativamente basso così come il livello dell'organizzazione interna e il costo d'acquisto, le cooperative aperte hanno fatto cadere il vincolo associativo come condizione all'acquisto e in pratica, a parte politiche di sconti riservati ai soci o altre operazioni di favore, la loro presenza sul mercato non si discosta sostanzialmente da quella delle catene private di supermarkets; anche per quanto riguarda i prezzi, l'indagine rileva uno scarto molto ridotto rispetto al commercio privato. La trasformazione da cooperative chiuse ad aperte si connette quindi alla necessità di ampliare il volume di vendita e ripartire su base più ampia i maggiori costi organizzativi: si afferma così una politica di prezzi "difensivi" sostanzialmente allineati su quelli di mercato. In Italia sono 4.607 i negozi cooperativi; 3.000 (il 64,7%) sono nelle regioni settentrionali, e di questi 2.400 sono cooperative aperte e 600 sono chiuse. La Lombardia è la regione a maggior presenza cooperativa (38,5% delle società cooperative e 30% dei punti di vendita). La quota di mercato del commercio cooperativo lombardo è pari al 9,4% dei consumi alimentari e a circa il 6,3% dei consumi commercializzati totali: di tale quota l'86,7% è da ascrivere alle cooperative aperte (un giro d'affari di circa 540 miliardi nel 1977) e il 13,3% a quelle chiuse (82 miliardi). Le cooperative aperte non hanno un ruolo attivo nella concorrenza sul prezzo, accettano anzi una funzione passiva a tal riguardo; allorché il commercio maturo impone che la ricerca dell'economicità avvenga in termini di economia di scala, la cooperativa non può far altro che accettare la logica e gli strumenti dell'economia di mercato, il che porta alla perdita della sua specificità. Come per la maggioranza degli operatori della distribuzione, anche per le cooperative la concorrenza viene condotta sul piano dell'innovazione del binomio merce-servizio, cioè delle scelte di nuove forme distributive. Non si riconosce a tal punto il senso delle agevolazioni fiscali e finanziarie che lo Stato riconosce a tali cooperative, agevolazioni che configurano più una forma di concorrenza sleale che non un aiuto all'obiettivo della difesa del consumatore. Le cooperative chiuse praticano invece differenziali di prezzo tali da mutare la convenienza del consumatore, ma la loro incidenza quantitativa è troppo ridotta per poter recare un reale contributo all'efficienza della distribuzione. A favore della cooperazione chiusa la ricerca propone di: 1, alimentare un diffuso processo di "apertura" delle commissionarie di acquisto per forzare le maglie di una legge notoriamente restrittiva e limitativa dei processi di innovazione commerciale; 2, creare livelli di secondo grado che si incarichino dell'approvvigionamento diretto alla produzione a favore di una catena di cooperative chiuse, iniziative che vanno sviluppate nell'area del volontariato. (X,E/6/1)

Ultimo aggiornamento: 19 settembre 2001
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