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[1990] Rapporto IReR '90

Gruppo di ricerca: Giuseppe Gario, Giorgio Lunghini, Alberto Martinelli, Giorgio Pastori, Tiziano Treu, Vittorio Angiolini, Carluccio Bianchi, Maria Cacioppo, Adolfo Carvelli, Antonio Chiesi, Alberto Colombo, Martino Colucci, Elvina Degiarde, Emilio De Capitani, Benedetto Della Vedova, Guido Gay, Daniela Gregorio, Alberto Majocchi, Marina Murat, Maria Beatrice Perucci, Sonia Stefanizzi, Pier Antonio Varesi.

Dati di pubblicazione: Milano, IReR, 1990.

Questo "Rapporto '90" esce in un momento difficile, avvertito come tale nella nostra regione in modo forse più intenso che non nel resto del paese. Le avvisaglie di una possibile recessione indicate nel Rapporto vengono confermate dai primi dati del 1991. Si sente il peso di quel motore immobile costituito dalla facile rendita finanziaria dei titoli di stato, legata al debito pubblico, e dalle plusvalenze crescenti nel campo immobiliare, che limita fortemente le propensioni ad investimenti produttivi.

La Lombardia resta sul piano economico nel cuore dell'Europa, con le altre regioni forti, ma le sue prospettive sembrano indebolirsi per l'affanno che si registra sul piano dell'identità culturale, della coesione sociale, della tensione etica, della salute istituzionale. Per difficoltà oggettive determinate dalla scarsità di risorse, la cui attivazione è mantenuta quasi in esclusiva dallo Stato centrale, ma anche per la lentezza e la frammentazione dei processi decisionali, a cui si unisce la scarsa sensibilità delle strutture pubbliche verso le potenzialità e l'importanza della conoscenza, nelle istituzioni lombarde si subiscono forti spinte localistiche.

Milano e la Lombardia rischiano di trovarsi in una posizione arretrata nell'Europa delle città e delle Regioni, se non si avrà una forte ripresa della politica nel ruolo che ad essa spetta nella dialettica tra la dimensione locale, che tende a chiudersi in sé, e quella vocazione transnazionale e cosmopolita, che ha reso la nostra regione capace di partecipare delle culture con cui è venuta a contatto senza mai perdere la propria identità. Tutto questo richiede di rispondere al bisogno d'istituzioni per governare che esprime la Lombardia e di proseguire il processo, appena avviato con la legge 142, di adeguamento della normativa generale sulle istituzioni locali ai principi costituzionali di autonomia e alle esigenze di maggiore partecipazione ed efficienza.

Parte economica

Il 1990 è stato un anno carico di aspettative e di eventi poco gradevoli, che lasciavano presagire un ciclo negativo. In base alle previsioni condizionali del nostro Istituto, riviste recentemente alla luce dei dati contenuti nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese, nel 1990 l'economia lombarda è andata meglio di quanto attese ed eventi potessero far temere, nonostante il ciclo positivo durasse ormai da un quinquennio.

Pur caratterizzata da un continuo rallentamento del ritmo di attività, secondo le stime IReR la Lombardia avrebbe registrato nel 1990 un incremento del Pil pari al 2,5%, superiore di circa mezzo punto al tasso determinato dall'Istat per l'insieme dell'economia italiana. Si confermerebbe così sostanzialmente lo scenario della seconda metà degli anni Ottanta, con un'economia regionale trainata dagli investimenti fissi lordi (+3,9% nel 1990) destinati prevalentemente all'ammodernamento ed alla ristrutturazione produttiva (e solo in misura limitata all'ampliamento della capacità produttiva, nonostante l'elevato grado ormai raggiunto di utilizzazione degli impianti).

In particolare, gli investimenti in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto avrebbero registrato un incremento del 5,5%; anche gli investimenti in costruzioni avrebbero segnato, per la prima volta nel decennio, un incremento significativo (3,6%) in relazione ai programmi di opere pubbliche realizzati in occasione dei mondiali di calcio. Il contributo alla formazione del Pil derivante dalle scorte sarebbe invece risultato negativo, in misura pari a circa un quinto della crescita complessiva regionale. In questo quadro, continuerebbero a manifestarsi gli effetti positivi sul mercato del lavoro lombardo che, diversamente dalla media italiana, vedrebbe proseguire l'erosione della disoccupazione, già su livelli frizionali nel 1990 (4,0%).

Grazie ai nuovi, pur se temporalmente limitati, dati della contabilità regionale a prezzi 1980 resi noti dall'Istat, il 1990 è certamente un anno di svolta per quanto concerne l'analisi delle interrelazioni economiche tra Lombardia e Paese. Infatti, le nuove serie di contabilità regionale contengono segnali di discontinuità rispetto alla tradizione di una Lombardia specchio d'Italia, con l'importante peculiarità di una maggiore presenza industriale e, conseguentemente, di un più marcato andamento ciclico. La novità, importante anche sotto il profilo metodologico delle stime e previsioni IReR, è che dalle nuove serie risultano decisamente più sensibili i differenziali di crescita tra Lombardia e Italia, nonostante il tendenziale rallentamento del tasso medio di variazione del Pil; inoltre, sono molto frequenti gli episodi di difformità nell'evoluzione congiunturale, fatto assai raro in precedenza.

In breve, la congiuntura economica lombarda non è più lo specchio di quella nazionale e, in particolare, sembra presentare un periodo di ritardo rispetto alle svolte cicliche dell'economia italiana (con minimi congiunturali nel 1982 per l'Italia e nel 1983 per la Lombardia, unitamente ad una recessione regionale più marcata; con massimi congiunturali nel 1984 per l'Italia e nel 1985 per la Lombardia, unitamente ad una ripresa regionale più lenta). Ancora, l'evoluzione dell'economia lombarda non appare più strettamente dipendente da quella dell'industria in senso stretto, tanto che il punto di svolta inferiore del ciclo industriale si manifesta in anticipo rispetto a quello dell'economia lombarda in complesso.

Siamo agli inizi di una nuova fase della storia dell'economia lombarda e dei rapporti tra sistema produttivo e sistema industriale? Al momento prendiamo atto che siamo agli inizi di una nuova serie della contabilità regionale, che si conferma comunque un fondamentale strumento analitico. Nello stesso tempo, prendiamo atto del fatto che i sistemi produttivi stanno diventando inscindibilmente intrecciati a livello settoriale non meno che a livello territoriale, arricchendo via via gli episodi di un unico prezzo per un unico bene su un mercato divenuto effettivamente globale.

Alla parte economica si aggiunge quest'anno per la prima volta una monografia sullo stato dell'ambiente in Lombardia. Dopo una breve rassegna degli strumenti di politica ambientale più utilizzati nei principali paesi Ocse, si è cercato di porre in evidenza, con i pochi dati disponibili e con riferimento ad alcuni indicatori, l'effettiva situazione ambientale della Lombardia (inquinamento atmosferico, situazione delle acque, problema dei rifiuti) confrontandola, dove possibile, con quella media dell'Italia e dei paesi Ocse. Infine si sono considerate le politiche di risanamento ambientale fino ad ora attuate nella regione.

Parte sociale

Si intitola Le donne in Lombardia e si propone di delineare un quadro d'insieme, ampio ed articolato, della condizione femminile in Lombardia alle soglie degli anni novanta: propensione alla nuzialità e comportamenti procreativi; percorsi formativi post-obbligo e post-diploma; partecipazione al mercato del lavoro; mobilità sociale; lavoro di cura e ricorso al sistema dei servizi; uso del tempo.

Nel primo capitolo si esaminano i principali elementi del cambiamento della struttura familiare; oltre a descrivere la struttura della popolazione lombarda per sesso ed età, si focalizzano le recenti tendenze alla nuzialità, sia formale che di fatto, non tralasciando il fenomeno dello scioglimento delle unioni, e si analizzano i comportamenti procreativi.

Il secondo capitolo fornisce un quadro dell'evoluzione dei processi di scolarizzazione femminile, post-obbligo e post-diploma, mirando a individuare le scelte formative intraprese dalle ragazze.

Il terzo capitolo tratteggia una panoramica dell'evoluzione della struttura occupazionale femminile e dei profili professionali, evidenziando i fenomeni di segregazione.

Nel quarto capitolo si analizzano le tendenze della mobilità sociale delle donne lombarde, mettendo a confronto i dati di due ricerche IReR svolte a dieci anni di distanza l'una dall'altra: Lavoro femminile e condizione familiare del 1977, e la Social Survey in Lombardia del 1987. Partendo dal presupposto teorico che la stratificazione sociale è il risultato di un sistema di relazioni nella sfera del mercato e delle professioni, si fornisce una valutazione dei processi di mobilità sulla base dell'occupazione, quale principale indicatore di posizione sociale; considerando le caratteristiche principali della mobilità sociale intergenerazionale e intragenerazionale delle donne si mette a fuoco un quadro interpretativo dei cambiamenti intervenuti nel contesto lombardo dalla metà degli anni settanta ad oggi.

Gli ultimi due capitoli sono dedicati rispettivamente al lavoro di cura e al sistema dei servizi, con una panoramica dei più recenti mutamenti e delle linee di tendenza, e alla tematica dell'uso del tempo, già affrontata nei Rapporti IReR '87 e '88: durata e modalità dell'orario di lavoro delle donne (con particolare riguardo verso le forme di lavoro atipico), aspirazioni sul tempo di lavoro e orari di fatto.

La parte sociale ospita quest'anno un contributo monografico, a cura di Adolfo Carvelli, dedicato all'immigrazione extracomunitaria in Lombardia. Vi si riferisce dei risultati di due ricerche IReR: la prima, condotta per conto dell'Oetamm - Osservatorio Economico-Territoriale dell'Area Metropolitana Milanese, si intitola L'immigrazione straniera extracomunitaria nella realtà metropolitana milanese, la seconda, affidata all'Istituto dalla Regione Lombardia - Settore Coordinamento e Occupazione, si intitola L'immigrazione extracomunitaria in Lombardia. Il ruolo delle politiche regionali.

Parte istituzionale

Al termine della precedente legislatura regionale almeno due leggi di grande rilievo - la 142 sull'ordinamento delle autonomie locali e la 158/1990 in materia di autonomia impositiva delle Regioni (con il conseguente DPR n. 398/1990), che ha segnato, anch'essa, seppur più limitatamente, un primo passo in favore della revisione delle modalità di finanziamento in atto delle Regioni e della restituzione ad esse di una maggiore autonomia finanziaria - sembravano aver segnato altrettante acquisizioni a favore del riconoscimento di più organiche prerogative delle istituzioni regionali nel sistema. Ma se ora si guarda invece a come sia andato proseguendo nei principali settori di interesse regionale il cammino istituzionale delle Regioni si ritrovano tutte le difficoltà, limitazioni e ambiguità che ne hanno caratterizzato lo sviluppo per il passato, anche nei casi in cui si assiste ad un coinvolgimento delle Regioni nella definizione e nell'attuazione di nuove politiche d'intervento.

Nel campo dei servizi sociali, mentre tace ancora la legge quadro sull'assistenza, continuano a venire promulgate leggi che per scopi o profili specifici incrementano la presenza del centro come soggetto di programmazione di settore o come gestore diretto di spesa; quanto al settore dell'assetto e dell'utilizzazione del territorio si conferma anche nelle leggi più recenti la tendenza a creare programmazioni di intervento a carattere nazionale cui subordinare "gerarchicamente" le competenze e gli atti di pianificazione regionale. Non diverse considerazioni suggerisce la legislazione nel campo dello sviluppo economico. Nel campo della politica del lavoro e dell'occupazione, specificamente considerata, la legislazione più recente (l. n. 407/1990 e n. 223/1991) rafforza l'azione degli organi centrali ponendo in essere iniziative concorrenziali o duplicative di quelle regionali già in atto, rendendo ancora più ingovernabile l'intervento pubblico in materia e rendendo sempre più necessario per la stessa efficacia delle politiche perseguite ripensare il confine delle reciproche competenze fra Stato e Regioni.

La vicenda istituzionale delle Regioni è in realtà venuta divaricandosi su due piani e su due direttrici diverse: da un lato, nel succedersi quotidiano della legislazione e della giurisprudenza, si può constatare l'ulteriore e grave degradarsi della posizione e delle prerogative delle Regioni, anche negli ambiti di competenza più sicuri, a fronte di perduranti, inarrestabili spinte centralistiche; dall'altro, si può riscontrare invece più di un segnale concreto a favore di una tendenza riformatrice di segno del tutto opposto, che già nel corso del 1990 mostrava di incamminarsi sul piano della stessa revisione costituzionale in senso neoregionalista, se non più ampiamente federalista. Il contrasto fra le due linee di tendenza si presenta oggi tanto stridente da rendere difficile formulare una qualche attendibile previsione a breve termine sugli esiti del cammino in corso. E' indubbio peraltro che si sia avviata una riflessione sullo stato delle istituzioni in cui il tema delle Regioni è venuto ponendosi come problema del sistema, come problema di mutamento e di riforma del sistema esistente e non più come problema, in sé parziale, dell'inserimento di un soggetto o di una categoria di soggetti istituzionali in un sistema che resta invariato nei suoi tratti fondamentali. Questo è forse il grande cambiamento di prospettiva di fronte a cui ci si è venuti oggi a trovare rispetto alle stagioni del regionalismo trascorse. (x,GEN/0/11)

Ultimo aggiornamento: 19 settembre 2001
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