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[1992] Rapporto IReR '91-'92

Gruppo di ricerca: Giuseppe Gario, Presentazione e sintesi" Giorgio Lunghini, Alberto Martinelli, Giorgio Pastori, Tiziano Treu. Parte Economica: Carluccio Bianchi, Benedetto Della Vedova, Guido Gay, Sergio Paba. Parte Territoriale: Carlo Cagli, Luigi Moriggi, Giorgio Goggi, Paolo Rigamonti, Giorgio Trebbi. Parte Sociale: Stefano Allievi, Donatella Bramanti, Antonio Chiesi, Elvina DegiardeCinzia Dosso, Daniela Gregorio. Parte Istituzionale: Vittorio Angiolini, Alberto Colombo, Martino ColucciEmilio De Capitani, Alberto Fossati, Alberto Majocchi, Pier Antonio Varesi

Dati di pubblicazione: Milano, IReR, 1992.

L'economia e la società lombarde stanno attraversando una fase delicata, con rischi di deindustrializzazione sul piano politico e di conflitto su quello sociale, contemporaneamente alla crescita del ruolo della Lombardia come veicolo dell'internazionalizzazione (in particolare di trading) del sistema produttivo italiano e come luogo di sperimentazione degli effetti sociali dell'innovazione. Sul piano istituzionale, i vent'anni dell'esperienza regionale confermano l'importanza del principio sancito nello Statuto, circa il ruolo politico di rappresentanza generale che la Regione è chiamata a svolgere a favore della società lombarda, in particolare per assicurare un "ambiente" coerente con gli imperativi della competizione internazionale.

I vent'anni dell'esperienza regionale coincidono con il maturare delle conseguenze della deresponsabilizzazione finanziaria delle Autonomie Locali (e delle stesse Regioni) attuata con la riforma fiscale del 1971, che modernizzò il sistema fiscale italiano ma, involontariamente, provocò anche il distacco tra legittimazione (dal basso) e finanziamento (dall'alto) dei livelli di governo locale e regionale. Questo distacco ha contribuito a determinare la crisi della progettualità locale e regionale, intesa sia come capacità tecnica che come dovere-interesse politico, a favore di un decentramento la cui funzionalità è stata gravemente compromessa dalla nuova logica organizzativa e logistica messa in atto dalle imprese e dagli stessi cittadini, nel contesto delle ristrutturazioni degli anni Settanta e, soprattutto, delle innovazioni tecnologiche, economiche e sociali degli anni Ottanta. La logica di decentramento messa in atto dalla pubblica amministrazione mal si concilia con la logica di interazione propria delle attività private, giustificando l'impressione di una crescente estraneità della pubblica amministrazione rispetto alle nuove esigenze dei cittadini e delle imprese. In particolare, le disfunzionalità del decentramento organizzativo e l'accentramento delle risorse finanziarie, peraltro sempre pià vincolate dal servizio interessi del debito pubblico, hanno contribuito ad impedire un efficace governo strategico del territorio, che oggi diventa necessario anche a causa delle opportunità e dei rischi impliciti negli squilibri europei che si sono venuti determinando dopo la riunificazione tedesca.

Parte economica

Nel corso del 1991 il processo di crescita dell'economia mondiale ha subito un netto ridimensionamento. Il tasso di variazione del prodotto reale nei paesi industrializzati si è infatti più che dimezzato, passando dal 2.6% del 1990 all'1.1%. Un'evoluzione simile ha caratterizzato il volume del commercio mondiale, la cui espansione si è ridotta dal 5% al 3%. Tale rallentamento congiunturale trova la sua spiegazione principale nella crisi del Golfo Persico, che ha provocato un deterioramento nel clima di fiducia di famiglie e imprese: le prime sono state indotte a rinviare nel tempo le decisioni di consumo, le seconde quelle di investimento. La crisi è stata particolarmente accentuata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove l'assestamento ciclico ha assunto i contorni di vera e propria recessione. L'interruzione della fase espansiva iniziata nel 1983 (la più lunga e stabile dall'ultimo dopoguerra) si è inoltre protratta oltre ogni ragionevole previsione, inducendo gli organismi internazionali a rivedere verso il basso le stime sulla crescita mondiale e a procrastinare nel tempo la data prevista di inizio della fase di ripresa. Così l'Ocse (dicembre) ritiene verosimile per i paesi industrializzati una variazione del reddito del 2.2% nel '92, come premessa per un più sostenuto incremento produttivo, dell'ordine del 3.3% da realizzarsi nel '93. L'economia italiana, pienamente inserita nel contesto mondiale, ha finito per subirne le stesse sorti. Secondo il preconsuntivo Istat contenuto nella Relazione Previsionale e Programmatica (RPP) presentata dal Governo al Parlamento nello scorso settembre, il Pil avrebbe dovuto registrare nel 1991 un aumento dell'1.4%. L'evidenza empirica successiva ha indotto tuttavia a ridimensionare ulteriormente le stime di crescita, tanto che l'Ocse ritiene verosimile un'espansione globale dell'economia italiana non superiore all'1%. Tale stima troverebbe la sua giustificazione principale nello sfavorevole andamento della produzione industriale. Gli indicatori disponibili sembrano infatti mostrare per il 1991 una riduzione del volume produttivo dell'ordine del 2%, con inevitabili riflessi sulla dinamica del valore aggiunto e della produzione. Il più marcato rallentamento congiunturale riscontrato per il 1991 dall'Ocse, rispetto al Governo, sarebbe alla base di meno ottimistiche previsioni di crescita per l'anno successivo: queste ultime, pari al 2.5% nella RPP, vengono ridotte al 2% dall'Ocse, soprattutto come conseguenza di una più lenta ripresa degli investimenti fissi lordi delle imprese industriali.

Gli scenari macroeconomici alternativi elaborati dal Governo a settembre e dall'Ocse a dicembre costituiscono la base di riferimento per le proiezioni IReR sul processo di crescita recente e sulle prospettive future dell'economia lombarda. La conclusione fondamentale che emerge dalle stime effettuate è che il rallentamento congiunturale in atto coinvolgerebbe anche il sistema regionale, determinandone un'evoluzione qualitativa e quantitativa non dissimile da quella propria dell'economia italiana nel suo complesso. In effetti, la variazione del Pil lombardo nel 1991 risulta compresa tra lo 0.9% e l'1.4%, a seconda dello scenario macroeconomico di riferimento, mentre la ripresa prevista per il 1992 determinerebbe una espansione del reddito tra l'1.8% e il 2.6%. Dal punto di vista della domanda, l'evoluzione economica globale della regione appare condizionata soprattutto dalla dinamica degli investimenti fissi lordi, da sempre più sensibili alle alterne vicende cicliche. Il rallentamento congiunturale del 1991 sarebbe infatti alla base di una brusca contrazione netta della spesa per acquisti di nuovi beni capitali, valutabile tra l'1.1% e l'1.9%, che si rifletterebbe in maniera sensibile sulle prospettive future. Anche come risultato del meno favorevole effetto di trascinamento acquisito, la ripresa degli investimenti prevista per il 1992 sarebbe pari soltanto all'1.2% nello scenario Ocse, mentre sarebbe decisamente più pronunciata (4%) secondo le valutazioni governative. I consumi delle famiglie, invece, continuerebbero ancora a caratterizzarsi come "volano" della congiuntura, espandendosi a tassi abbastanza stabili, seppur contenuti nella fase ciclica in atto. L'incremento della spesa, ad un tasso del 2.1% nel 1991 e del 2.7% nel 1992, consentirebbe nella prima fase di contenere le perdite produttive (altrimenti prevedibili) nell'economia lombarda e nella seconda fase di sostenerne la ripresa. All'interno della spesa globale per consumi sarebbero soprattutto gli acquisti di beni durevoli a denotare la più elevata variabilità. Il peggioramento del clima di fiducia determinerebbe una loro riduzione assoluta nel 1991 (particolarmente rilevante per gli autoveicoli), seguita da un'evoluzione opposta nell'anno successivo. Il commercio esterno della Lombardia, infine, risulterebbe condizionato dalle incerte prospettive della domanda mondiale. A ciò si aggiungerebbe un peggioramento diffuso della competitività aziendale; esso sarebbe generato da una dinamica dei costi interni più elevata di quella dei paesi concorrenti, in presenza di una politica del cambio che non ammette cedimenti anche in vista del processo di unificazione monetaria europea. In tal modo le esportazioni crescerebbero meno del commercio mondiale, mentre le importazioni si espanderebbero a tassi più sostenuti, soprattutto se la ripresa del processo di accumulazione dovesse realizzarsi in concreto. In ogni caso il contributo del settore estero allo sviluppo dell'economia lombarda si ridurrebbe progressivamente nel corso del tempo, verosimilmente azzerandosi nel 1992. Dal punto di vista dell'offerta, le alterne previsioni di crescita elaborate dall'IReR troverebbero fondamento nella dinamica del valore aggiunto del settore manifatturiero, che si mostra stazionaria o in lieve aumento nel 1991 (0.5%). Nell'anno successivo potrebbe verificarsi una ripresa, quantificabile tra lo 0.8% e il 2.1%, a seconda delle ipotesi di base ritenute più verosimili. In ogni caso l'industria lombarda mostrerebbe una capacità di adeguamento alle diverse fasi cicliche più elevata di quella del sistema italiano nel complesso, con una maggiore tenuta tanto dei volumi produttivi, quanto dei livelli occupazionali.

Nella fase congiunturale in atto, in definitiva, solo la crescita del settore dei servizi privati continuerebbe a sostenere il processo di sviluppo della Lombardia. L'incremento del valore aggiunto del terziario privato si aggirerebbe infatti intorno al 2% nel 1991 e al 2.5% nell'anno successivo. In tal modo, i servizi destinabili alla vendita, come già nella prima metà dello scorso decennio, apparirebbero come il vero motore dello sviluppo, nonché il solo comparto capace di realizzare incrementi di occupazione.

Due ampi contributi monografici sono dedicati rispettivamente, il primo, allo studio della dinamica del lavoro in quattro regioni europee negli anni Ottanta; il secondo al caso Seveso, a quindici anni di distanza da quel drammatico evento emblematico dei rischi più gravi di inquinamento industriale e di catastrofe ambientale, e alla normativa del dopo-Seveso.

Parte territoriale

Questa parte del Rapporto '91 tende ad individuare, non in forma sistematica, alcune questioni ritenute strategiche per lo sviluppo e la pianificazione del territorio lombardo attraverso una lettura problematica delle iniziative di pianificazione attivate nella regione, da cui trarre le tendenze in atto, le opzioni, i vincoli e gli scenari che si prospettano, per poter individuare le condizioni per l'avvio di una fase di pianificazione strategica.

Il contributo è articolato in tre parti monografiche.

La prima parte tende a fornire un'immagine aggiornata della Lombardia utilizzando alcuni indicatori, come le variazioni di popolazione e di uso del suolo agricolo avvenute negli anni Ottanta, alcuni comparti di servizi strategici - università, professioni e grande distribuzione commerciale -, che permettono di sviluppare alcune considerazioni significative in merito alla "geografia territoriale" lombarda. E' stato fatto anche il tentativo di confrontare questa immagine con quelle che tradizionalmente hanno sorretto e sorreggono le scelte programmatiche della Regione e degli enti locali.

La seconda analizza il tema delle accessibilità ferroviarie e stradali in Lombardia, attraverso la prospezione di scenari di sviluppo tendenziali aperti dalle iniziative e dai programmi in corso: l'individuazione, sia del quadro degli interventi in corso finalizzati al miglioramento del sistema delle accessibilità, che di scenari e opzioni alternativi volti al perfezionamento delle accessibilità, evidenzia, a livello macro-urbanistico, diverse possibilità di organizzazione urbanistica delle tendenze insediative di notevole impatto e quindi, lo sviluppo di assetti del territorio regionale alternativi.

La terza parte indaga l'evoluzione del quadro di riferimento esterno, in particolare padano e di alcune regioni europee. Nel contesto della padania si sviluppano fenomeni e trasformazioni interrelate: per la Lombardia si avverte la necessità di poter disporre di un quadro di riferimento delle opzioni, delle strategie riguardanti l'area padana al fine di individuare complementarità e obiettivi comuni. In prospettiva della liberalizzazione dei rapporti tra paesi e regioni europei sono state indagate alcune scelte operate in paesi Cee, in particolare nel meridione della Francia e della Germania, per valutare gli aspetti di contiguità, di relazioni e di ripercussioni sulle componenti strategiche dello sviluppo regionale lombardo.

Parte sociale

Uno dei temi centrali della "Parte sociale" del Rapporto è stato quello del benessere sociale. Nelle varie edizioni che si sono susseguite a partire dal 1984, si è proposto un quadro d'insieme sintetico ed unitario dello stato e delle dinamiche presenti nella società lombarda, concentrando l'attenzione sul tema della qualità della vita. L'immagine della Lombardia, emersa in tutti questi lavori e confermata dai risultati di una recente indagine Eurisko sul clima sociale della regione, è sostanzialmente quella di una società operosa, con diffusi livelli di benessere, ricca di opportunità sia sotto il profilo economico che culturale, dove tuttavia si ritrovano aree di disagio e di conflitto.

Il Rapporto '91, proseguendo su questo filone d'analisi, si è posto l'obiettivo di fornire una chiave di lettura trasversale delle trasformazioni sociali caratterizzanti la realtà lombarda all'inizio degli anni Novanta. In particolare, si è voluto tracciare un quadro interpretativo dei processi di integrazione/emarginazione, consenso/conflitto, benessere/disagio. In questo senso, per mettere a confronto le condizioni di vita con le percezioni che di esse hanno gli individui, oltre ad aggiornare le serie storiche di indicatori già sperimentati, sono stati analizzati i dati rilevati recentemente da due indagini di scenario promosse dalla Regione: Il clima sociale in Lombardia a cura di Eurisko e Opinioni dei cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche in Lombardia a cura del Servizio Statistica della Regione Lombardia.

In sintesi, sono state prese in considerazione le seguenti tematiche: - la composizione della popolazione con attenzione al problema dell'immigrazione straniera; - l'istruzione superiore e universitaria (indicatori di quantità e qualità ); - la situazione occupazionale (tensioni e opportunità ); - la disponibilità di servizi e iniziative culturali e i comportamenti di consumo; - lo stato di salute della popolazione e la fruizione di servizi socio-sanitari; - il problema della diffusione di alcolismo e tossicodipendenza e della frequenza di suicidi e tentativi di suicidio, come segnale preoccupante del disagio e della sofferenza individuale e sociale.

Come ulteriore contributo alla descrizione del grado di integrazione sociale della nostra regione sono stati esaminati, con tre specifiche analisi monografiche, alcuni fenomeni che in questi ultimi anni sono stati al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica: - l'inserimento di immigrati extracomunitari tra integrazione e conflittualità; - alcuni aspetti del disagio familiare in relazione alle manifestazioni di violenza (maltrattamento, abuso) nei confronti dell'infanzia; - le molteplici forme della devianza, con particolare riferimento alla criminalità organizzata.

Parte istituzionale

Si esaminano qui i vent'anni dell'esperienza regionale in Lombardia, individuandone tre fasi. La prima fase, fondativa, è caratterizzata dall'affermazione e dalla rivendicazione di un ruolo regionale organico e compiuto, soprattutto in campo economico, configurando fin dagli inizi una significativa discontinuità rispetto alla previsione costituzionale, nei termini di una Regione definita come ente politico portatore della generalità degli interessi e dei fini espressi dalla collettività lombarda. I limiti non trascurabili entro cui aveva preso l'avvio l'esperienza regionale vengono in parte rimossi e superati (ma certo non eliminati) con la cosiddetta seconda regionalizzazione, attuata con il DPR 616/1977.

Questa fase è caratterizzata dall'ampliamento e dall'integrazione funzionale del ruolo di governo della Regione, che tuttavia risulta in parte insufficiente, in parte fittizio o di facciata, anche a causa del recupero neocentralista, da parte della legislazione nazionale, dei trasferimenti di funzione operati con il DPR 616. Nonostante l'impegno legislativo della Regione, che si avvale anche di strumenti operativi finalizzati alla produzione di servizi reali per lo sviluppo economico e sociale, la terza ed attuale fase è caratterizzata dalla persistente esigenza di dare compimento al ruolo regionale, con specifico riguardo alle problematiche dello sviluppo economico e della coesione sociale. Risulta così confermata e rafforzata la necessità di un ruolo di governo regionale dotato di una competenza generale, riferita non alle materie, ma alle realtà ed ai problemi, organicamente considerati, della Lombardia. L'esperienza regionale tende a muoversi in direzione quasi opposta al convincimento del costituente, di poter distinguere secondo l'interesse regionale o nazionale le attività e le relative competenze, decentrando le une e mantenendo accentrate le altre.

Nell'ambito di una competenza che sempre più si configura a carattere generale, la Regione Lombardia appare sempre più ente di progetto e insieme di servizi, mentre resta sullo sfondo la Regione come ente di disciplina amministrativa e di erogazione finanziaria puntuale. La Regione per organismi tecnici, per società di servizi, per accordi, per convenzioni e contratti acquista particolare rilievo, ponendo tuttavia la questione di quali siano i raccordi che si devono instaurare fra la Regione della programmazione e della progettazione e quella dell'organizzazione e della prestazione di servizi. (x,GEN/0/12,1,2)

Ultimo aggiornamento: 11 settembre 2001
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